I social hanno cambiato il rapporto tra brand e consumatori. Per sempre

–di Alfonso Emanuele de Leon * | 17 May

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Non passa giorno che non sentiamo raccontare di come il mondo stia cambiando per via dei media digitali. Il cambiamento è così profondo sia nella vita delle persone, sia nel lavoro di chi cerca di presentare dei brand a queste persone, che non si può fare a meno di sentirsene sopraffatti. Qui in Asia il cambiamento è ancora più radicale. Vivo nel continente più giovane del mondo, dove di conseguenza l’adozione di nuove tecnologie e piattaforme digitali è più accelerata. Osservare i Millenials della modernissima Corea del Sud è come vedere un presagio del futuro che ci aspetta in Occidente. Ed il futuro è che il consumo delle news e dei contenuti non è più passivo ed imposto da pochi mass media, ma ognuno di noi produce ogni giorno news e contenuti che spesso sono più rilevanti ed interessanti di quelli prodotti istituzionalmente dai media e dagli stessi brand.

Si tratta forse della rivoluzione più radicale e straordinaria dell’ultimo ventennio per il marketing, con le maggiori ripercussioni nei rapporti tra brand e consumatori, perché sposta il modello di influenza da contenuti generati dal brand a contenuti generati da persone esterne al brand. Cerchiamo nello spazio digitale contenuti più autentici, interessanti e coinvolgenti, gli User generated contents (Ugc). La prova di questo radicale spostamento nei modelli di influenza dei consumatori la si trova nei reports della società di Digital intelligence L2 che mostrano una correlazione quasi nulla tra la quota di mercato dei posts (ovvero le comunicazioni “push” emesse dai Brand) e la quota di mercato delle “interazioni” (like e comments) sancendo la morte del modello di comunicazione unidirezionale “push” da parte dei brand.

Si possono fare tanti post quanti si vuole, ma la loro quantità non ha nessuna correlazione con i likes o i comments dei consumatori, ovvero con il reale interesse generati. I consumatori scelgono, interagiscono e ri-postano quello che piace loro del brand, ma molto più spesso quello che viene generato da persone esterne al brand, altri consumatori o influencers. La discriminante è la bontà del contenuto, non chi lo produce. L’analisi di L2, per esempio nel caso dei grandi magazzini a livello mondiale, non solo mostra la differenza tra quello che i brand vogliono dire e quello che i consumatori vogliono vedere, ascoltare econdividere, ma dimostra che il futuro risiede negli User generated contents.

Si parla tanto di digitale e a mio avviso l’insidia sta proprio nella parola stessa, che descrive il mezzo e non il contenuto. Il punto non è che è cambiato il mezzo di comunicazione, ma che è cambiato soprattutto il lavoro di marketer: da produttore di contenuti all’interno, a stimolatore di contenuti esterni da parte di blogger e influencer. Un cambio davvero epocale. Il punto sono i contenuti, non il digitale che ne è solo lo strumento.

Quindi: «It’s about the content, stupid!». Senza offesa per nessuno, prendo a prestito con una picola modifica una famosa frase di Bill Clinton che in un dibattito per le elezioni presidenziali disse al suo avversario: «It’s about the economy, stupid!». Significa proprio questo: non perdere di vista che l’unico obiettivo che dobbiamo avere sono i contenuti e lo storytelling del brand. L’obiettivo non è fare parlare del nostro brand l’influencer di turno. L'obiettivo è rimanere al 100% focalizzati sul fatto che vogliamo creare dei contenuti che la gente voglia vedere, leggere, ascoltare. Non c’è altra scienza che questa. Pensare molto intensamente ed approfonditamente a cosa stiamo creando e perché mai un consumatore dovrebbe regalarci tre minuti del suo tempo da dedicare a questo contenuto.

Mi piace sempre citare gli esempi che trovate di seguito, e dopo avervi chiesto di guardarli vi faccio una domanda: cosa hanno in comune questi contenuti?
1) TESLA “Modern Spaceship” Commercial
2) Le fotografie sulla pagina principale del sito Four Seasons
3) Doritos Superbowls commercial

La risposta è semplice, sono tutti contenuti NON generati dal brand. La pubblicità della Tesla sembra una pubblicità vera e propria, ma è stata creata da un consumatore a casa sua, a zero budget. Un brand di alberghi di super lusso come Four Seasons non si fa nessun problema nella pagina principale del suo sito a postare immagini di users. Il risultato è sempre di grande qualità, ma con un tocco più personale e umano. Ovviamente a costo zero. E poi c’è l'esempio di Doritos. La marca americana di snacks salati nel 2015 ha annunciato che il suo spot al Superbowl, l’evento mediatico planetario dell’anno dove uno spot di 30 secondi costa cinque milioni di dollari, non sarebbe stato prodotto dal Doritos. Al contrario, il brand ha sollecitato i consumatori a produrlo loro stessi partecipando ad un concorso nazionale.

Il risultato per Doritos: uno spot all’altezza di qualsiasi grande produzione, con un tono che strizza l’occhio e parla molto di più il linguaggio del consumatore. Ma soprattutto, ed è qui la vera innovazione, centinaia di partecipanti, milioni di commenti e conversazioni su social media sul tema ed una nazione col fiato sospeso per scoprire il vincitore durante l’evento mediatico dell’anno. Da allora la marca di patatine di proprietà della Pepsi ha continuato a partecipare al Superbowl con questa strategia di User Generated Contents.

Learning into Action
Le implicazioni per il lavoro di noi marketer sono radicali, cambia completamente il nostro lavoro. Ci dobbiamo trasformare da produttori di contenuti aziendali a stimolare la generazione esterna di contenuti tra blogger ed influencers. L’obiettivo per il brand non è avere degli influencer. L’obiettivo è stimolare la creazione esterna di contenuti e storytelling di marca interessanti, rilevanti e credibili.

«It’s about the contents….Sir!».

  • Vice President / General Manager Aveda Asia Pacific

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