«Scegli un lavoro che ami e non dovrai mai lavorare un giorno nella tua vita» (Confucio). Ma nella realtà, quanti di noi fanno un lavoro che apprezzano davvero? La scelta del proprio lavoro e del proprio futuro professionale, molto spesso, accade per caso. Entriamo nella prima società che ci offre un contratto, accettiamo magari la prima offerta subito dopo il diploma o la laurea e ci fermiamo nella prima azienda in cui abbiamo fatto uno stage e dove alla fine siamo stati bene. Ma veramente è un lavoro che ci piace o una scelta di comodo?
A colloquio spesso chiediamo ai candidati di indicare cosa si desidera dalla prossima opportunità professionale. E davvero in pochi rispondono che vorrebbero fare qualcosa che piaccia e appassioni. Di solito le motivazioni che spingono a cercare un nuovo lavoro sono cinque:
1) Un’azienda più grande, magari multinazionale.
2) Un futuro capo più bravo o comunque differente.
3) Uno stipendio o un pacchetto retributivo più alti.
4) Maggiore vicinanza a casa.
5) Una visione internazionale e piani di formazione, soprattutto per i profili più giovani.
Quasi mai, durante i colloqui, si entra nel merito della qualità del lavoro e di quanto questa possa rappresentare una spinta al miglioramento. Svegliarsi la mattina contenti di andare in ufficio perché quello che si andrà a fare è piacevole e stimolante cambia non poco le carte in tavola nell’affrontare le attività lavorative quotidiane.
Un capo appassionato del proprio lavoro si vede immediatamente. Ha un approccio completamente diverso da chi è obbligato per forza a svolgere quel ruolo, in un’azienda che non apprezza. Un leader che ha la possibilità di lavorare in un contesto che ritiene positivo sarà certamente più coinvolgente, saprà contenere e gestire meglio lo stress, saprà accrescere il livello di motivazione e di coinvolgimento del proprio team e, non per ultimo, avrà probabilmente migliori capacità di superare proprie resistenze personali ad attività, persone o situazioni a lui meno vicine. E anche un dipendente, se svolge un compito piacevole e in un’azienda che stima, metterà molta più spinta in quello che fa.
In effetti se analizziamo il tema della retention - e la sua diretta conseguenza di evitare un cambio troppo frequente di dipendenti che, non dimentichiamolo, ha costi elevati sia dal punto di vista della selezione, sia dal punto di vista della formazione - ci rendiamo conto di quanto sia fondamentale per i talenti. Oggi assumere persone che si appassionano a quello che fanno (prodotti, servizi, tecnologia, ambiente di lavoro) aumenta notevolmente il tasso di retention.
Questo avviene perché i dipendenti sono molto più motivati a restare anche nelle situazioni in cui alcuni fattori (come ad esempio lo stipendio) vengono considerati non adeguati. Se facciamo qualcosa che ci piace siamo pronti a fare qualche sacrificio in più. Ma non sempre siamo nelle condizioni di poter scegliere. Allora cosa fare in caso di cambio di lavoro?
Per prima cosa è importante avere chiare in mente le motivazioni che portano a cambiare. Il primo aspetto è la retribuzione? Consideriamo però che un aumento di stipendio a fronte di un lavoro poco piacevole perde abbastanza velocemente i suoi effetti motivazionali. La vicinanza a casa anche a discapito della possibilità di crescere? Forse non è un elemento che, nel lungo periodo, può essere sufficiente. Impiegare meno tempo nel tragitto casa-ufficio non è garanzia di maggiore felicità e meno stress.
Mi è capitato di dire ad alcuni candidati durante il colloquio che non era il momento di cambiare perché trasmettevano, attraverso le loro parole, passione per ciò che stavano facendo. Quando la spinta al cambiamento è legata solo a fattori esterni e non alla qualità del lavoro, forse, è meglio aspettare.
Managing Director di EasyHunters
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