Finanza e private equity non sono un mondo per donne

-di Monica D'Ascenzo | 19 Settembre

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It’s an old boys’ club. Nella City si parla così del mondo finanziario e la definizione si può estendere a livello globale. Non che manchi una presenza massiccia di donne a livello impiegatizio: negli Stati Uniti, ad esempio, rappresentano circa il 50% della forza lavoro dei servizi finanziari. Eppure, salendo nelle posizioni della C-suite, la presenza si assottiglia al 20%. In Italia la situazione non è molto diversa: secondo uno studio First Cisl sui maggiori cinque istituti italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Banco Bpm, Ubi), che pesano per due terzi dei 300mila bancari italiani, a inizio 2017 le donne sono 84mila (pari al 47%) su 181mila, ma guadagnano ancora il 10% in meno e solo lo 0,5% diventa dirigente.

Situazione meno rosea se dal retail si passa ai settori wholesale, dall’investment al corporate banking. In Gran Bretagna, ad esempio, solo il 13% del personale delle società di trading è donna. Un dato che migliora leggermente al 16% nell’investment management e al 19% nelle assicurazioni, secondo la Financial Conduct Authority. Una situazione tale per cui il ministero del Tesoro inglese ha lanciato due anni fa il “Women in Finance Charter”, un accordo con le società finanziarie che si impegnano a mettere in progetti di valorizzazione dei talenti femminili e di riduzioni delle discriminazioni, anche salariali. Ad oggi i firmatari sono 272 da Allianz a Citi, da Hsbc a State Street. Non che questo abbia portato dei risultati dal momento che la pubblicazione dei dati sulle retribuzioni ha evidenziato in Uk come il divario di genere sia enorme: Hsbc, ad esempio, ha una differenza salariale del 59%, Goldman Sachs del 55,5%, Barclays del 48%.

Ben più ardua la carriera in altri settori finanziari. Meno di un partner su sette nei fondi di private equity e degli hedge fund è donna, ad esempio. Uno studio di Preqin ha evidenziato come a livello globale l’Asia è quella che offre più chance alle donne con una percentuale dell’11% in posizioni senior (18% sul totale dei dipendenti), contro il 10% del Nord America (17% il dato totale) e il 5% dell’Europa (20% in totale). Tanto che nel 2015 12 donne dell’industria hanno deciso di fondare la no-profit Level 20 con l’obiettivo di far salire la percentuale di donne in posizione senior nel private equity al 20% entro il 2020. «Nel settore del private equity, non solo in Italia ma a livello globale, la presenza delle donne in posizioni apicali è ancora molto contenuta. Tra le prossime sfide di questa industria rientra proprio la valorizzazione dei talenti femminili e l’introduzione di modelli che ne favoriscano una crescita professionale e manageriale. La diversità e complementarietà di vedute, che devono in ogni caso essere guidate da un criterio di merito e mai prescinderne, possono rappresentare un’importante leva di creazione di valore anche nel mondo della finanza e un punto di forza nello sviluppo del business» ha commentato Silvia Oteri, una delle due partner di Permira a livello globale su un totale di 27.

Al mondo finanziario, McKinsey ha dedicato il report appena pubblicato dal titolo “Closing the gap”. Dai risultati della survey globale, emerge come le donne hanno il 24% di possibilità in meno di ottenere una promozione rispetto agli uomini. C’è da dire, comunque, che la ricerca evidenzia anche come le donne abbiano minori aspirazioni: fra i giovani l’obiettivo di entrare nel top executive team è del 40% per gli uomini e del 29% per le donne. Fra le cause che frenano i sogni di carriera c’è per il 40% delle intervistate la sfida di conciliare lavoro e famiglia. Le donne, inoltre, più raramente hanno uno sponsor fra i manager. «Le differenze di genere rispecchiano la struttura sociale ed economica di un Paese. In Italia ancora oggi i cosiddetti lavori di cura e di assistenza alla famiglia sono di competenza delle donne che, così, non riescono sempre a sostenere i ritmi lavorativi modellati sugli uomini. Partiamo dalle scuole primarie, dove è possibile iniziare un percorso per rendere le giovani più consapevoli delle proprie capacità anche nell’immaginare un percorso formativo più aperto a studi di carattere scientifico sui quali le donne mostrano ancora qualche insicurezza» osserva Maria Bianca Farina, presidente di Ania e presidente di Poste Italiane, che aggiunge: «L’Ania ha istituito con le organizzazioni sindacali il Comitato Pari Opportunità per promuovere progetti sul tema della parità di genere e sull’equilibrio lavoro/vita privata e, in questi anni, le compagnie assicurative stanno facendo molto per migliorare il welfare aziendale». Nel settore assicurativo nel 2017 le donne rappresentavano il 46,7% dei dipendenti. Tra i dirigenti la quota femminile è al 17%. La strada è ancora lunga.

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